Incontrare per crescere
FederlegnoArredo è il cuore della filiera italiana del legno-arredo
  • Il parlamento europeo dice sì al MADE IN

    16 aprile 2014
  • “Made in” l'ora della verità

    15 aprile 2014
  • “Made In” in Parlamento Europeo il 15 aprile

    31 marzo 2014
  • FederlegnoArredo sostiene l'azione del Commissario On. Tajani

  • "Made in" obbligatorio: proposta per inserirlo nel regolamento sulla sicurezza dei prodotti

  • Regolamento UE sul "MADE IN": si riapre la partita!

    18 gennaio 2013
  • Ritirata dalla Commissione Europea la proposta di Regolamento MADE IN

    25 ottobre 2012
  • Legge 8 aprile 2010, n. 55 ''Reguzzoni-Versace''

  • MADE IN ITALY: a che punto siamo

    MADE IN ITALY: a che punto siamo

    MADE IN ITALY: a che punto siamo

    Fonti normative:

    • Codice Doganale Comunitario (Reg. CE n. 2913/1992 e successive modifiche), artt. 23-24
    • art. 4 comma 49 della Legge del 24/12/2003 n. 250 (Legge finanziaria del 2004)
    • art 517 codice penale
    • Legge 99/2009 art. 17
    • DL n.135 del 25-09-2009 art. 16, convertito in Legge n. 166/2009

    L'origine dei prodotti è disciplinata da una fonte sovraordinata al nostro diritto nazionale e segnatamente dal Codice Doganale Comunitario (art. 24), che prevede che i prodotti che hanno subito lavorazioni in Paesi diversi possano correttamente ritenersi originari del Paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale.

    A rigore l'origine andrebbe distinta dalla provenienza: per ''origine'' del prodotto deve intendersi il luogo o il soggetto di produzione, fabbricazione o coltivazione della merce; mentre per ''provenienza'' deve intendersi il luogo o il soggetto che funge da intermediario tra il produttore e gli acquirenti.

    Quanto alla provenienza da un determinato luogo, va però precisato che, per principio di Cassazione, essa non garantisce la provenienza da quel luogo, ma da quel produttore, rappresentando il collegamento tra prodotto ed impresa.

    Più volte la Cassazione, chiamata ad interpretare l'art. 517 c.p., ha su questo tema precisato che ciò che è generalmente rilevante per l'ordine economico - comprensivo sia della libertà e buona fede del consumatore, sia della protezione del produttore dalla illecita concorrenza - non è l'origine o la provenienza geografica, bensì la fabbricazione da parte di un determinato imprenditore.

    L'imprenditore stesso che, secondo tale giurisprudenza, determinerebbe l'origine del prodotto, deve comunque essere un soggetto che, mantenendo coordinamento e controllo, si assume la responsabilità e garantisce le lavorazioni altrui.

    Nel tentativo di dare una stretta agli abusi per non dichiarare chiaramente come di origine estera ciò che in realtà lo era, il 23 luglio 2009 il Parlamento approvava la Legge n. 99/2009 che, all'interno del più ampio tema sulle “Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese”, all'art. 17 recava una modifica all'art. 4 co. 49 della Legge del 24/12/2003 n. 350, introducendo il principio per cui i prodotti in importazione recanti marchi italiani avrebbero dovuto indicare in modo chiaro il luogo di produzione o di fabbricazione, così da evitare “qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera”.
    In realtà questa norma è rimasta in vigore solo per poco più di un mese, essendo stata abrogata appunto dal decreto legge 25 settembre 2009, n. 135 con la disposizione dell'art.16 comma 8.

    Decreto che, convertito in Legge n.166 del 20/11/2009 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 274 il 24/11/09) all'art.16 co.1 prevede come ''realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente su territorio italiano''.

    Anche se per le modalità di applicazione di tale principio la stessa disposizione ha previsto, poi, al comma 2 l'emanazione di successivi decreti da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, possiamo correttamente dire che oggi sul ''Made In Italy'' si attesta questa situazione:
    - i prodotti o le merci possono continuare ad essere classificati come ''made in Italy'' ai sensi del Codice Doganale Comunitario nei termini già riferiti. E ciò nonostante il D.L. n. 135/09 dal momento che le espressioni usate nello stesso, relativamente a quanto previsto al comma 1 del menzionato art. 16, danno per scontato il concetto di “made in Italy ai sensi della normativa vigente”.

    - allorché si voglia dichiarare il prodotto come ''realizzato interamente in Italia'' o accompagnarlo delle espressioni ''100% made in Italy'' o ''100% Italia'' o ''tutto italiano'', o simili, è necessario che il prodotto sia di origine italiana ai sensi della normativa vigente (vedi quanto già detto prima) e che il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento siano compiuti esclusivamente sul territorio italiano;
    -per il mancato rispetto di tali ultimi principi si incorrerà nelle sanzioni previste dall'art. 517 del codice penale aumentate di un terzo.

    - per le dichiarazioni o indicazioni non veritiere circa l'indicazione made in Italy (e NON quella 100% made in Italy), le sanzioni permangono, invece, quelle dell'art. 517 c.p. senza aumento di un terzo, posto che il comportamento sanzionabile sarà quello della non vera indicazione di provenienza o di origine ai sensi della normativa europea sull'origine (codice doganale comunitario).

    Così come enunciato il quadro non sembra apparire più di tanto complesso, almeno in linea di principio, anche se va ulteriormente segnalato il comma 6 dell'art. 16, entrato in vigore dal 9 novembre 2009, che inserisce dopo l'art. 4 co. 49 della Legge del 24/12/2003 n. 350, il comma 49 bis: ''costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Il contravventore e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000''; sanzione amministrativa prevista solo per il titolare o il licenziatario del marchio, e dunque non per i distributori o i rivenditori.

    L'obiettivo perseguito è quello della tutela del consumatore da dichiarazioni o indicazioni che possano indurlo in errore, da realizzarsi sia attraverso la chiarezza e la trasparenza dell'informazione sul prodotto, in particolare per la fase di commercializzazione, sia attraverso le etichettature e la stessa confezione, sia infine attraverso la documentazione cosiddetta “di corredo per il consumatore”.

    Infatti, pur in presenza di un uso del marchio con modalità tali da poter indurre il consumatore in errore sull'effettiva origine del prodotto, l'aver accompagnato quei prodotti o quelle merci con indicazioni precise ed evidenti o con attestazioni (circa le informazioni che verranno rese in fase di commercializzazione) sulla effettiva origine estera escluderà in radice che, nel caso, possa aver luogo la fattispecie della “fallace indicazione” introdotta con il menzionato comma 6 e sanzionata pecuniariamente.

    Il che significa che la giusta e particolare attenzione che verrà posta nella predisposizione di tale documentazione di accompagnamento potrà certamente contribuire ad evitare ipotesi di dubbio sul corretto uso di marchi o segni o la stessa sanzionabilità di quegli usi che lasciano spazio a dubbi.

    In sostanza, per evitare di incorrere in sanzione, sembra comunque evidente che la preoccupazione di quel produttore deve essere rivolta, alternativamente:
    - all'uso di indicazioni ''sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto''; oppure - all'apposizione di ''indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera'' delle merci.

    La norma da ultimo introdotta pone anche una terza alternativa, evidentemente applicabile prima della commercializzazione: e cioè quella di accompagnare le merci con una attestazione, resa da parte del titolare o dal licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto''.

    L'attestazione, che potrà aversi anche sotto forma di autocertificazione, se per un verso costituisce la realizzazione concreta della facoltà concessa al produttore di integrare l'etichettatura del prodotto dopo la sua importazione nel nostro Paese, con una informativa sull'origine ''successiva'' a tale importazione, ma comunque contestuale alla commercializzazione, per altro verso finisce per confermare che essa non dovrà necessariamente venire apposta sul prodotto stesso all'uscita della produzione.

    Il Ministero dello Sviluppo Economico ha emanato una circolare esplicativa che riassume l'applicazione pratica della direttiva.

    Per un ulteriore approfondimento scarica i documenti qui di seguito.


    Si ringraziano per la documentazione fornita:
    - Studio Legale Avv. Filippo Cafiero
    - Studio Legale Avv. Prof. Cesare Galli

    Documenti
MADE IN ITALY: a che punto siamo